I Pianu Individuale di Risparmio o PIR rappresentano una formula messa in campo nell’ultima legge di bilancio del Governo e finalizzata a veicolare i risparmi verso aziende italiane, soprattutto piccole e medie. Si tratta di uno strumento la cui gestione ricade sulle società di gestione del risparmio, ma non è raro che siano anche di tipo assicurativo o adottati nell’ambito del risparmio amministrato. I PIR sono rivolti esclusivamente alle persone fisiche; in nessun caso possono essere adottati dalle aziende o dalle persone giuridiche.
La costituzione dei PIR può avvenire in modo autonomo, senza alcun tipo di intervento esterno. Da anni la formula del PIR è adottata con successo in molti paesi stranieri come il Giappone, la Francia, gli Stati Uniti d’America ed in Gran Bretagna come strumento dedicato soprattutto ai piccoli risparmiatori.
Il regolamento prevede che ogni PIR non possa essere gestito per un periodo maggiore di cinque anni con un investimento che non può eccedere i 30mila euro. Il massimo previsto per ogni investitore, ammonta, invece, a 150mila euro. Lo Stato riconosce, a chi adotta questa particolare formula di risparmio, una serie di agevolazioni che si traducono in un abbattimento del carico fiscale. In pratica non si dovranno corrispondere le imposte sul capital gain, sui dividendi sulle donazioni e sulle successioni. Insomma una formula che consente un generale risparmio sulle tasse. Ma come si sottoscrivono i PIR?
Come investire in PIR
Le somme da destinare al Piano Individuale di Risparmio vengono investite in diversi strumenti finanziari tra cui le azioni, le quotazioni, i fondi di investimento o in conti correnti. A tutto ciò è applicato un vincolo, conosciuto come ”vincolo di diversificazione” che prevede che una quota pari al 70% delle somme totali siano destinate a prodotti finanziari emessi dalle aziende italiane o europee, purché abbiano un tipo di organizzazione stabile nel nostro paese. La quota restante, pari al 30% del totale, verrà utilizzato in altri strumenti finanziari tra cui i conti deposito o, come detto in precedenza, i conti correnti bancari.
Una percentuale pari al 30% del 70% viene destinata alle aziende del nostro paese, ma solo per le realtà economiche che non sono quotate alla FTSE Mib. Si tratta, in pratica, di una limitazione che favorisce le aziende di piccola entità, magari quotate nel Mid Cap, l’insieme dei titoli a media capitalizzazione, nelle aziende ”ad alti requisiti”: le Star, le Standard o quelle sul mercato Aim.
Un ulteriore vincolo, conosciuto come ‘‘vincolo di concentrazione”, prevede che una quota non superiore al 10% debba essere destinato ad un titolo emesso dalla stessa attività. Cosa accade nel caso in cui la società su cui si è investiti parte delle somme contenute nel PIR passa al paniere principale della Borsa italiana o trasferisca la sede all’estero? In entrambi i casi il proprio denaro non subisce alcun tipo di ricaduta visto che i requisiti precedentemente elencati vengono considerati al momento della sottoscrizione.
PIR, un investimento a medio periodo
Anche se non è prevista alcuna durata massima, per la durata del PIR, è applicato un limite per il periodo minimo: pari a cinque anni oltre i quali non viene applicato alcun tipo di imposta. Insomma possiamo considerare i Piani Individuali di Risparmio come un investimento a medio periodo, ma per chi preferisce, anche di lungo periodo.
Il regolamento prevede che la riscossione della somma, effettuata prima dei cinque anni, sia oggetto di una tassazione pari al 26% del guadagno ottenuto; in caso contrario la tassazione sulle rendite, come detto, è pari a zero.
E’ comunque indispensabile valutare bene i costi. Alcune società che propongono questo tipo di prodotto applicano, un costo sulla sottoscrizione, ma anche sulle gestione del prodotto o sulle performance raggiunte dall’investimento. Si tratta di un aspetto da considerare e che potrebbe erodere non poco i vantaggi fiscali ottenuti grazie ai PIR.